martedì 27 ottobre 2009

Valore - Erri De Luca

Con un ringraziamento all'amico Gian Luca che qualche tempo fa mi fece conoscere questi versi di Erri De Luca.
Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l'assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finché dura un pasto, un sorriso involontario,la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di
scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi, provare gratitudine senza ricordarsi di che.
Considero valore sapere in una stanza dov'è il nord, qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca, la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l'uso del verbo amare e l'ipotesi che esista un creatore.

Molti di questi valori non ho conosciuto.

giovedì 1 ottobre 2009

L'Italia è un paese da distruggere, un posto bello e inutile, destinato a morire

Di "La meglio gioventù" di Marco Tullio Giordana ho sempre apprezzato la sincerità e la forza con cui il regista ha portato nelle sale e nelle case italiane il suo racconto cinematografico - nel duro percorso italiano attraverso i decenni dal boom economico fino ad oggi - in una forma sempre ai limiti fra commedia, dramma ed un pizzico di passione documentaristica.Cercando una magica versione di "Oblivion" di Piazzolla, presente nei titoli di coda di una delle puntate televisive del film di Giordana, mi sono imbattuto in una delle scene più forti. No, niente sangue né colpi di pistola, niente "cazzi" né turpiloqui, nessuna tetta in vista, ma un dialogo semplice semplice tra un docente universitario ed uno studente. Un pugno allo stomaco, forse perché quel dialogo ci rappresenta, oggi certamente più che in quegli anni '60 dove si colloca temporalmente la scena.

mercoledì 2 settembre 2009

Hollywood Party

Dopo anni, ho avuto nuovamente occasione di vedere il capolavoro di Blake Edwards. Una folgorante riscoperta.


Due anni prima di Michelangelo Antonioni, Blake Edwards con un'esplosione cinematografica lacera simbolicamente i modelli di una società che sta definitivamente cambiando.


In gioventù consideravo "Zabriskie Point" come uno dei film più rappresentativi dell'era della contestazione. Gli affiancavo "Giù la testa" di Sergio Leone o "I pugni in tasca" di Bellocchio.


Con certo presunto snobismo intellettualoide non avrei mai caricato sulle spalle di un film comico la rappresentatività di un decennio di sconquassamento di un'intera società.


Eppure, proprio in "The party" (meglio conosciuto con il titolo "Hollywood party"), film del 1968 firmato da Blake Edwards ed interpretato da un insuperabile Peter Sellers, troviamo tutti gli ingredienti che ne fanno un simbolo di un'epoca.


Già nel prologo Edwards mette in chiaro la sua posizione. Partendo da una puntigliosissima critica verso la Hollywood dei grandi scenari storici, delle mega-produzioni e dello star system, le gag di Peter Sellers nei panni dell'impacciato attore indiano Hrundi Bakshi colpiscono i simboli dell'apparentemente intoccabile società americana dell'epoca.


Proprio il prologo termina con l'esplosione del fortino. E qui la posizione di Edwards si fa addirittura più violenta rispetto alla scelta analoga di Antonioni in Zabriskie Point. Perché con Edwards a provocare la detonazione non è un gesto rivoluzionario (sia esso reale o immaginario, come accade nel film di Antonioni), ma il gesto "ordinario" dell'allacciarsi una scarpa.


Dall'episodio dell'esplosione si scatenano in un succedersi di coincidenze tutti gli eventi che portano Bakshi a farsi titanico elemento disturbatore di un lussuosissimo party hollywoodiano, popolato di politici, illustri uomini d'affari, star patetiche e ragazze in cerca di fortuna (no, la location non è Villa Certosa).
Fra gli eventi, merita una citazione speciale la comparsa di un elefante colorato durante il party organizzato nella lussuosa villa, accompagnato da un gruppo di giovani chiassosi.
Ecco, se l'esplosione iniziale segna l'inizio della rivoluzione, la comparsa dell'elefante ne segna il parziale fallimento. Bakshi fa notare ai ragazzi che l'aver dipinto e riempito di scritte la pelle dell'animale è un segno di totale mancanza di rispetto verso un simbolo della cultura indiana.
L'irrompere della frivolezza modaiola, dei colori sgargianti, della musica beat (che contrappunta la tromba iniziale che intona un motivetto quasi be-bop), e la schiuma che invade la villa (la metafora del "lavaggio" della vecchia società è un po' forzata, ma si potrebbe anche azzardare), sanciscono simbolicamente una parziale sconfitta di quel moto di evoluzione che, nell'intenzione di sovvertire l'ordine di un sistema, ne viene fagocitato e riomologato.


Preveggenza di Blake Edwards, nell'aver intuito con decenni di anticipo la nascita della MTV generation.

giovedì 25 giugno 2009

"ll Candelaio" di Giordano Bruno

"Il Candelaio" di Giordano Bruno è un testo difficile, frutto di una commistione di latino e vari dialetti, caratteristica tipica dello stile maccheronico di certa letteratura satirica del '500 (nata con l'intenzione di deridere la lingua latina nella sua ufficialità e solennità).
La commedia, liquidata all'epoca come “scellerata e infame” e più tardi "volgarmente sconcia e noiosa" da un certo Giosuè Carducci, è una magnifica espressione della vitalità, dell'irriverenza e delle grandi capacità comunicative del filosofo nolano.
Ricco di spunti autobiografici, il testo - portato sulle scene italiane da Luca Ronconi piuttosto di recente - è pervaso da una satira tagliente ed esplicita, verso i dogmi cristiani, verso l'ipocrisia di certa poesia "elegiaca", ed anche verso quel Francesco Petrarca che mi ha fatto nascere una certa curiosità nel notare una velata assonanza tra "Il CANdelaio" ed "Il CANzoniere".

Pubblico qui il sonetto proemiale de "Il candelaio", con un pensiero triste alla dura sorte dell'arte della satira, allora come oggi. Certo oggigiorno a Campo dei Fiori non ci sono più i falò della Santa Inquisizione, ma a quanti simbolici roghi abbiamo assistito nella nostra recente storia italiana!!
A gli abbeverati nel Fonte Caballino.
Voi che tettate di muse da mamma,
E che natate su lor grassa broda
Col musso, l'eccellenza vostra m'oda,
Si fed'e caritad'il cuor v'infiamma.
Piango, chiedo, mendico un epigramma,
Un sonetto, un encomio, un inno, un'oda
Che mi sii posta in poppa over in proda,
Per farmene gir lieto a tata e mamma
Eimè ch'in van d'andar vestito bramo
Oimè ch'i' men vo nudo com'un Bia,
E peggio: converrà forse a me gramo
Monstrar scuoperto alla Signora mia
Il zero e menchia, com'il padre Adamo,
Quand'era buono dentro sua badia.
Una pezzentaria
Di braghe mentre chiedo, da le valli
Veggio montar gran furia di cavalli.

venerdì 29 maggio 2009

Deutsche Rentenversicherung

Mio padre ha lavorato per circa 10 anni in territorio tedesco come dipendente di una grande multinazionale. Emigrante? Mah, a lui piaceva chiamarsi lavoratore italiano in cerca di esperienze. Dietro un pizzico di imbarazzo per quell'essere stato una volta nella vita "migrante", quasi ci fosse da vergognarsi per aver vissuto all'estero da onesto lavoratore, c'era tutto l'orgoglio per averlo fatto in una grande nazione, che lo accolse come un suo figlio e riconoscendogli il rispetto che poi la persona indubbiamente meritava.
Oggi, ricevendo una busta intestata a "Frau *****" (mia madre), mi tornano in mente le sue lodi verso la Germania (allora Repubblica Federale Tedesca) ed il suo popolo, specialmente nel vedere che nella domanda di reversibilità sono consultate anche le voci:
  • Divorziato/a
  • Partner/convivente

come aventi diritto alla cosiddetta pensione al superstite.

Paradossalmente e con conclusioni diametralmente opposte, mi trovo d'accordo con Bossi: l'Italia vada fuori dall'Europa.

Perché noi con l'Europa dei diritti civili, della laicità di stato, del rispetto verso l'individuo, e della libertà di informazione non c'entriamo proprio niente.

giovedì 9 aprile 2009

Patapàn

PATAPÀN
(Claudio Baglioni)


Ce l'ho ancora sulla pelle
quell'odore di colline
sono lucine o sono stelle
quelle cose dove la campagna ha fine

ti ricordi pa'

mi tiravi per la mano
sul tuo passo più costante
tu un gigante e io un nano
mentre davi un nome agli alberi e alle piante

e raccontavi fatti
e misteri di laggiù
così per lunghi tratti
e se non ce la faccio più
tu mi trovavi un legno
e io ci montavo su
con quel cavallo e un regno e uno schiocco e patapàn

al galoppo e all'avventura
sotto a quel tuo naso grosso
messo come prua e non avevo mai paura
dentro la tua scia ti stavo sempre addosso

e nella sera chiara
da lontano l'armonia
di un suono di fanfara
di un tam tam di prateria
e le tue braccia forti
che indicavano la via
ai miei ginocchi storti e agli occhi e patapàn

patapàn
e patapàn
patapàn
e patapàn patapàn
e patapàn patapàn patapàn patapàn patapàn patapàn

Ciao pa'
ma quante strade di sentieri bianchi
e quante ancora e ancora no
non siamo stanchi
lo vedi come corro
così veloce
dietro al tuo fischio
e quella voce
se resti indietro aspetto
sotto la croce
e scoppia il petto e in coppia
andiamo avanti
e patapàn

e sul ciglio di un burrone
tu facevi quella finta
di una spinta in giù e io ridevo col fiatone
e mi alzavi su nella camicia stinta

e ti sentivo dire
di chi c'è e chi non c'è più
e non poter capire
perché non è come un tram
su cui chi si vuol bene
sale e viaggia e scende giù
ma tutti quanti assieme
per sempre patapàn
patapàn
e patapàn patapàn
e patapàn patapàn
e patapàn patapàn patapàn patapàn patapàn patapàn

Ciao pa'
così hai saltato giù e ora sei in volo
ti sei fermato un giorno e io corro solo
perché non m'hai aspettato e stai lontano
e non mi prendi più per la mano
e senza un legno adesso
un po’ più piano vado
e spesso cado
ma andiamo avanti

Ciao pa'
ma dimmi dove è che stiamo andando
e questa vita dove mai ci sta portando
non era questo il mondo che volevamo
e non è il cielo che sognavamo
non è quel tempo, è adesso
in cui dobbiamo stare
e lo stesso andare

e andiamo avanti
e patapàn