sabato 24 novembre 2012

Dai verbali delle sedute dell'Assemblea Costituente - Italia, 1946 -1948

Alla vigilia delle elezioni primarie del centro-sinistra, mi reimmergo per qualche ora nella lettura dei verbali delle sedute dell'Assemblea Costituente (1946-1948).
L'archivio dei verbali è consultabile direttamente dal portale web della Camera dei Deputati. Esso è viva testimonianza del confronto fra i grandi uomini - i vari De Gasperi, Togliatti, Terracini, Saragat, La Malfa, Pacciardi, etc. - che hanno scritto coralmente la Carta Costituzionale fondando un'Italia nuova dalle rovine di un'interminabile guerra, dalle ferite lasciate dalla sanguinosa occupazione straniera, dalla guerra civile, dai soprusi di una dittatura ventennale e dai voltafaccia della  Monarchia.
L'archivio dei verbali rappresenta un "backstage" della Costituzione Italiana così ricco di spunti, emozionante, a tratti commovente. I verbali parlano molto del nostro recente passato, ma anche del nostro presente e mi auguro siano un buon punto di riferimento anche per la ricostruzione del nostro futuro.
La storia finora non mi è di sostegno, ma io non voglio proprio credere che noi sappiamo diventare un popolo magnifico solo dopo anni di lunghe tribolazioni e vessazioni.

Ho scelto nella vastità dell'archivio due momenti a mio parere fra i più rappresentativi.

Al termine di un dibattito acceso sulle parole "libertà" e "lavoro", l'assemblea vota l'articolo 1.
Il punto più curioso del dibattito nasce dalla proposta dell'onorevole Togliatti di integrare il primo comma dell'artitolo 1 "L'Italia è una Repubblica Democratica" in "L'Italia è una Repubblica Democratica di lavoratori", a sottolineare il carattere concreto dato al Lavoro nella organizzazionne della nuova Repubblica.
Da qui si susseguono una serie di contestazioni sul presunto carattere "classista" della formulazione. Al termine, si metteranno ai voti le due formule "L'Italia è una Repubblica Democratica fondata sul lavoro" proposta da Fanfani, Moro, ed altri deputati democristiani, e "L'Italia è una Repubblica Democratica fondata sui diritti di libertà e sui diritti del lavoro", proposta da La Malfa con il sostegno dei socialisti. Per Togliatti la formula di La Malfa introduce concetti poco chiari come i "diritti di libertà" e i "diritti del lavoro", e per questo motivo sceglie la formula più immediata di Fanfani e Moro.
Pongo ai voti, nel suo complesso, il primo articolo della Costituzione della Repubblica italiana, nel seguente testo definitivo:
« L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
« La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione ».
(È approvato).(Tutta l'Assemblea e il pubblico delle tribune si levano in piedi - Vivissimi, prolungati, generali applausi - Grida di: Viva la Repubblica!).

Durante il dibattito sull'inserimento dei Patti Lateranensi all'interno della Costituzione
E' uno dei passaggi cruciali, un gesto che oggi nel 2012 ha ancora spazio per lunghe riflessioni. A detta di Vittorio Foa (socialista) questo fu forse l'unica vera occasione che divise i padri della Costituzione.
Con un colpo di scena il Partito Comunista si unisce alla Democrazia Cristiana e ai Liberali sul voto favorevole per l'inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione.


De Gasperi: D'altra parte, i deputati democratici cristiani, quando si tratterà delle riforme al Codice Penale, voteranno per la modificazione di qualunque disposizione che possa suonare menomazione giuridica o morale delle minoranze religiose. Il mondo si preoccupa che si crei in Italia una Costituzione di uomini liberi.

Togliatti: La classe operaia non vuole il turbamento della pace religiosa; il Partito comunista non vuole un conflitto fra lavoratori comunisti e lavoratori cattolici e a questo dovere i suoi deputati si inspirano

martedì 23 ottobre 2012

Il Pirata e il Campione

Se percorri l’autostrada A14, nei pressi di Imola, passando di fronte alla sede del Mercatone Uno puoi notare una biglia gigante con una splendida foto di Marco Pantani in maglia rosa. Nel potere evocativo delle immagini e dei simboli, quella biglia - simile a quelle con cui si giocava in spiaggia su improbabili piste tracciate sulla sabbia – rappresenta in modo così semplice ed efficace i valori del ciclismo, tanto da farti commuovere.

Tornano alla mente le lunghe dirette TV dei tapponi di montagna, che seguivi minuto dopo minuto malgrado gli esami imminenti (prima la maturità, poi l’università).
Tornano alla mente quei pomeriggi riminesi nel luglio del 1998, e la gioia per quella splendida vittoria al Tour de France.
Torna alla mente l’attesa del Pirata all’arrivo della tappa al Terminillo nel giro d’Italia del 2003, e l’accoglienza del suo pubblico, della sua gente.

Se passi davanti a quella biglia un minuto dopo che la radio ha annunciato la revoca dei 7 tour de France a Lance Armstrong, un sentimento di rabbia come polvere velenosa si posa sul velo sottile dei ricordi evocati da quell’immagine così tenera e gentile.

Oltre ogni troppo facile moralismo tipico della nostra gente, arriverà prima o poi il momento di chiedere scusa a Marco Pantani, se non altro per aver oscurato fra le righe delle pagine di cronaca la vicenda umana e sportiva di un autentico campione.

giovedì 6 settembre 2012

E-Book: licenza di lettura

"Esiste un pericoloso gruppo di attivisti anti-copyright
che rappresenta un pericolo per il futuro degli autori e degli editori.
Essi non hanno alcun rispetto per la proprietà e per le leggi.
Oltretutto, sono potenti e ben organizzati, ed hanno
tutta l'attenzione dei legislatori e della stampa.
Sì, sto parlando dei dipartimenti legali dei grandi distributori di e-book"
La citazione è tratta dall'introduzione di "Makers" di Cory Doctorow, noto blogger, scrittore ed attivista dell'open source, del copyright libero e delle licenze Creative Commons.
L'autore, nel distribuire liberamente il suo romanzo sulla rete (incentrato sulle vicende della cultura Maker), inquadra in modo assai lucido il delicato problema della distribuzione di E-book, oramai quasi monopolizzata (o meglio oligopolizzata) da pochi provider, che hanno costruito nuovi modelli di business per il mercato dell'editoria sicuramente vincenti, ma al costo di limitare o spesso stravolgere le stesse regole base del copyright.

L'analisi di Doctorow è molto chiara: il copyright è da sempre basato sul semplice concetto che se tu compri un libro, quel libro diventa tuo: lo puoi scarabocchiare, stracciare, regalare al tuo amico, o metterlo sotto un mobile traballante. E' il "tuo" libro e ne fai ciò che vuoi.
Con la diffusione dei nuovi modelli di acquisto digitale, i distributori - quasi sempre spinti dall'innaturale tentazione di favorire la creazione di propri formati a discapito di standard globalmente supportati - hanno lentamente revisionato e rivisto questo principio di "proprietà", sostituendo alla più semplice delle regole mercato (hai mai dovuto firmare 10 moduli per comprare un libro in libreria?), una miriade di clausole contrattuali che l'ignaro cliente deve "spuntare" al momento dell'acquisto (o del primo acquisto, ma la sostanza non cambia). Quelle stesse clausole, dietro un ingannevole "Buy this book", nascondono una forma diversa di transazione: la "Licenza d'uso". Come a dire: "Io distributore ti dò il diritto ad usare questo e-book, ma questo libro non sarà tuo".

Punti di vista, si intende, interpretazioni di leggi e condizioni di contratto.
Resta il fatto che da tempo si è animato sulla rete e sugli altri media il dibattito sulla tematica degli e-book nel particolare, e più in generale sul destino dell'editoria (c'è di mezzo il destino stesso degli editori, in special modo dei piccoli). Tuttavia, si tende spesso a far scadere il dibattito ad una diatriba basata sul supporto e sul formato, della serie: "sono meglio gli e-book perché non occupano spazio" o "io non posso fare a meno di sentire l'odore dei libri" (mi sono autocitato, da indistruttibile supporter del formato cartaceo). Si dovrebbe invece cercare di spostare il centro d'attenzione verso le problematiche legate alla distribuzione, e diffondere le argomentazioni del dibattito verso una comunità più vasta possibile, puntando ad accrescere la consapevolezza di chi vuol far uso di tecnologie innovative, senza però correre il rischio di sacrificare i propri sacrosanti diritti.

Concludo con un'ultima citazione, stavolta tratta dalle note di copyright di una canzone del noto cantautore Woodie Guthrie:

"This song is Copyrighted in U.S., under Seal of Copyright #154085, for a period of 28 years, and anybody caught singin’ it without our permission, will be mighty good friends of ourn, cause we don’t give a dern. Publish it. Write it. Sing it. Swing to it. Yodel it. We wrote it, that’s
all we wanted to do." 

mercoledì 8 agosto 2012

Dopo aver visto il nuovo promo dell'agenzia Tommy Moroni Eventi & Management

C'è chi guarda alle cose come sono e si chiede: "perché?"
Io penso a come potrebbero essere e mi chiedo: "perché no?"

L'agenzia Tommy Moroni Event & Management scomoda Robert Kennedy per lanciare un chiaro messaggio nel suo nuovo promo 2012: un messaggio promozionale in senso stretto, e nello stesso tempo un richiamo all'intera città di Terni, per cui oramai da anni Tommaso è in prima fila nell'organizzazione di eventi, nella creazione di nuove sinergie, nella diffusione di nuovi modelli per il rilancio culturale della città.
La diffusione diventa in effetti una parola chiave nel video sapientemente realizzato da Alessandro Mari ed Elisa Forti, per mezzo di un'antennina di una vecchia radio che si va a sostituire - in un gioco fotografico di quelli da "Giapponese che spinge la torre di Pisa" - al totemico "pennone" della fontana di Piazza Tacito: quello stesso pennone che proprio di recente si è spezzato, sinistramente a simboleggiare il timore per un possibile declino della città (possibile, per carità, non inevitabile). Perché poi in altre realtà si parla di campanilismi, ma a Terni i campanili non sono andati mai di gran moda.
Un invito a risintonizzarsi sulle onde di un possibile rilancio della città, rivolto ai concittadini - giovani e non - e come sempre garbato ed elegante, un po' British, come a lui piace mostrarsi.
Mi sento di accogliere con entusiasmo l'invito dell'amico Tommaso Moroni, con l'auspicio che i nostri concittadini si facciano come lui promotori ed un po' sognatori; con l'auspicio che, invece di restare a guardare e chiederci "perché?", iniziamo a reinventarci un po' e a chiederci "perché no?".

mercoledì 18 luglio 2012

Coccodrillo per una poltrona

Oggi ho salutato Ginetta, dopo 35 anni di vita insieme. 

La mia biondissima poltrona, destinata inesorabilmente all'ingrato cimitero delle cose, è stata recuperata in extremis da un robivecchi nordafricano. Strana sorte degli oggetti, che possono sempre avvalersi della possibilità di una seconda, terza vita.
Una bionda di poca classe, sorridente e grassottella, un tempo credevo avesse il muso di un orsetto o un cagnolino: forse sin da quando mi accolse che ero ancora in fasce, fra i suoi braccioli, i suoi velluti e la soffice gommapiuma.
Sempre di fronte alla finestra catodica e di fianco ad una finestra reale, per un tempo indefinito come tutti i tempi - non uno, ma tanti - della memoria, fino a ieri sera, nella sua prima posa fotografica dopo 34 anni (l'ultima volta compariva giovane e forzuta accanto ad un me stesso semisvestito, sorridente ed assai più carino e capelluto).
Ed ancora oggi, malandata e vecchierella, Ginetta ha in effetti il muso di un orsetto o di un cagnolino: con un beffardo sorriso sghembo.

Con lei mi sono seduto ed ho atteso con fiducia la vittoria di Mazinga Z e la guarigione di Klara; ho sognato di vivere in un mulino bianco, di guidare una strepitosa automobile parlante; ho aspettato l'estate per poter ascoltare la canzone del cuore di panna, ed il Natale per quella della CocaCola; ho fatto tardi per canticchiare Cacao Meravigliao; ho duettato per finta con Elton John allo stadio di Wembley per ricordare Freddie Mercury e fatto a pezzi almeno 4 mattoni del grande muro di Roger Waters a Berlino.
Sempre lì, sul cuscino del mio modesto trono, per anni mi sono ritirato a suonare, pensare, leggere, scrivere, guardare la tv, farniente.
Al suo posto, ora occupato da un più moderno divano scuro, porrei un'epigrafe:  

Qui visse la bionda poltrona Ginetta,
qui l'ozio ottenne il suo più alto e degno riconoscimento di sublime vizio.

mercoledì 13 giugno 2012

Il mare non bagna Napoli - Anna Maria Ortese

Non è certamente una casualità se il primo capitolo di "Il mare non bagna Napoli" narra di Eugenia, bambina "mezza ciecata" che non ha mai avuto modo di vedere con nitidezza la realtà.
Allo stesso modo Anna Maria Ortese, narratrice unica ed assai immeritatamente trascurata nel panorama della nostra migliore letteratura, per sua stessa ammissione nel suo testo più controverso dedicato alla città di Napoli mette in opera una dichiarazione di distacco e disprezzo verso la realtà stessa. Quasi una denuncia a quella tendenza al (neo)realismo tipica degli anni in cui l'opera venne pubblicata.
In modo programmatico e feroce, attraverso una scrittura "febbrile" e nevrotica (ma senza alcuna caduta di stile), immergendosi in una Napoli meravigliosa e tremenda, luogo metafisico che l'autrice rappresenta come una proiezione all'ingrandimento della propria coscienza. Una rappresentazione che - non compresa fino in fondo - costrinse la scrittrice a lasciare la città che la vide co-protagonista del gruppo SUD, uno dei più fervidi movimenti culturali del dopoguerra italiano. Quel gruppo SUD ricompare nei capitoli finali, nel fallimento generazionale, nella disillusione e nello sterile individualismo dei personaggi di Pasquale Prunas, Vasco Pratolini, Luigi Compagnone, Franco Rosi: rappresentati come certi fantasmi che numerosi popolano le soffitte ed i vicoli di Napoli.
Una volta letto "Il mare non bagna Napoli" tutta la produzione letteraria successiva della Ortese brilla di nuova luce.
Anna Maria Ortese diventa testimone immensa (insieme alla ammiratissima Elsa Morante) della letteratura al femminile nell'Italia del secondo dopoguerra.

Curiosità:
  • La discesa agli inferi nel quartiere dei Granili in "La città involontaria" in qualche modo ricorda il racconto "Sette Piani" di Buzzati.
  • Tra le pagine di "La città involontaria" compare la frase "Il mare non bagna Napoli"
  • Il personaggio di Anastasia di "Interno familiare" ricorda un po' qualcosa dei "Dubliners" di Joyce.
  • In "La Nazione Indiana" è pubblicata una delle ultime dichiarazioni di Anna Maria Ortese, rilasciata nel 1996 a Goffredo Fofi, dal titolo "Il male freddo".
La rivista "SUD" è riapparsa nel 2004, con una redazione napoletana localizzata ancora presso la Scuola Militare Nunziatella (come l'originale). Vi hanno partecipato nel corso del tempo fra gli altri Milan Kundera, Erri De Luca, Roberto Saviano, Tiziano Scarpa.

Un ritratto di Anna Maria Ortese tratto da uno speciale di Rai Educational

lunedì 30 aprile 2012

La lezione di Raymond Carver

Continuo ad appassionarmi alla forma del racconto, dopo Buzzati e Tabucchi è arrivato il momento di Raymond Carver.
Come hanno già detto in molti Raymond Carver (1938-1988) "rivelava l'insolito celato dietro l'ordinario". La scrittura come processo di rivelazione è una caratteristica fondamentale della sua poetica. Non a caso, egli stesso affermava di revisionare un testo per ben dieci, quindici riletture consecutive, ogni volta cambiando e rimodulando il racconto.
Il processo creativo di Carver, divenuto materia di studio per il "creative writing", è basato su un lavoro di rimozione progressiva e radicale del superfluo dalla materia originaria di un racconto. In questo modo il racconto diventa rappresentazione essenziale di una vicenda umana: essenziale nella collocazione spazio-temporale, essenziale nell'uso del dialogo e del discorso diretto, essenziale nella descrizione dei luoghi, dei personaggi e delle situazioni.
Il più piccolo dettaglio si fa elemento chiave del racconto: l'inanimato, l'oggetto, diventano protagonisti; il disagio è espresso, più che con l'azione dei protagonisti, con l'introduzione di elementi esterni, sia umani (un avventore di un bar, una misteriosa donna al telefono) che non umani (il frigorifero che si rompe, un televisore, le chiavi di casa dei vicini, una orribile trota verde). Gli schemi tradizionali del racconto breve vengono stravolti: la trama non viene risolta, ma l'intera storia è la rappresentazione di una continua discesa dei personaggi verso una imminente quanto irraggiungibile distruzione.

Il lavoro meticoloso, quasi scientifico, attraverso il quale Carver è riuscito a rappresentare in modo unico e controcorrente la società dei disoccupati, dei poveri, degli umili, di chi ha fallito nel rincorrere il sogno americano, senza buonismo e false illusioni, ha lasciato un enorme segno nella nostra cultura.
Con quello stesso spirito, un grande regista come Robert Altman ha girato "America oggi" (Short Cuts, 1993), tratto da 9 racconti di Carver.
L'eredità del minimalismo letterario americano che parte da Hemingway e tocca il suo apice con Carver ha poi cresciuto i figli della nuova letteratura americana (ed occidentale), da David Forster Wallace ("Carver non era un minimalista: era un artista"), a Jonathan Franzen e Kevin Canty.
Ad Oriente invece Murakami Haruki - traduttore ufficiale in lingua giapponese dell'intera opera di Raymond Carver - ne fa uno dei suoi autori di riferimento. E - strano ma vero - non è poi così difficile scovare tracce di Raymond Carver nei romanzi di Murakami come "Kafka sulla spiaggia", "Norwegian Wood" e "L'uccello che girava le viti del mondo".
Link:

- Collaborare con Carver - di Robert Altman
- Raymond Carver - Pagina dedicata sul portale Einaudi

domenica 11 marzo 2012

Giappone (日本) - 11 marzo 2011

A un anno dal disastro ci si aspettava qualcosa di più: qualche parola, qualche omaggio che andasse oltre il solito servizio al TG, qualche testimonianza in più, per documentare gli effetti del dopo-tsunami, per capire quanto esso abbia influito in una recessione del Giappone che dura da anni e che ha toccato il suo punto più critico proprio in quell'11 marzo del 2011. E che per la prima volta dal dopoguerra vede quel popolo, da sempre determinato ed abituato a rialzarsi anche dalle condizioni più gravi, in difficoltà e con un futuro sempre più avvolto nell'ombra, con una crisi ed un rischio default che tuttavia accomunano gli abitanti di Tokio e Osaka agli abitanti di Atene, Roma, Madrid, e perché no, New York e Parigi.

Oggi il Giappone non è stato quasi presente nelle cronache e negli editoriali, né è diventato "Top Trend" sui più popolari social network, oramai sempre di più bussole di una coscienza collettiva mondiale in costruzione.
La faccenda è stata liquidata con l'immagine solenne dell'imperatore e con qualche breve cronaca del day after a Fukushima. Personalmente mi sono dovuto sintonizzare sui canali della NHK (TV di stato giapponese), per fortuna disponibili anche in lingua inglese.

Mi torna in mente Haiti, e ripenso alle continue parate di star e divi di Hollywood fra i bambini di Port-au-Prince. Lì il meccanismo delle ricorrenze ha funzionato di più, così come con lo tsunami in Indonesia. Probabilmente in quei casi la cosiddetta macchina della solidarietà è stata più fruttuosa per le grandi lobbies della miseria.

In questo finale di giornata e di settimana, mi piace quindi lasciare un pensiero al grande popolo giapponese, apparentemente così lontano da noi, eppure così vicino, se solo penso che a Milano è più facile trovare un sushi bar che una trattoria tipica lombarda; se per le strade di Torino è più facile vedere una Toyota che una Fiat; se io sono cresciuto con i manga; se l'ingegneria del processo delle grandi industrie utilizza il Kanban e il Kaizei; se il 70% dei miei amici hanno praticato il karate per almeno un anno; se i centri cittadini di Tokio e di Osaka pullulano di ristoranti e boutique italiane; se sul mio comodino ho l'intera opera di uno scrittore giapponese.

Collegamenti:
http://www.corriere.it/esteri/speciali/2012/fukushima-un-anno-dopo/ 
Lo speciale del Corriere della Sera


http://www3.nhk.or.jp/nhkworld/
Il portale della NHK World

martedì 28 febbraio 2012

Libere riflessioni su Privacy e Sicurezza nel web

“Chi è pronto a rinunciare alle proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza non merita nè la libertà nè la sicurezza.” (Benjamin Franklin)
Parto in modo velatamente provocatorio citando Benjamin Franklin, uno dei Padri Fondatori degli Stati Uniti d’America, e mi addentro – vista anche la mia posizione di tecnico – nell’insidioso terreno della sicurezza e della privacy. Argomento che coinvolge ed incuriosisce, e che tanto ha a che fare con la nostra vita nel web, sia esso interpretato nella sua forma quasi arcaica della posta elettronica, nelle interconnessioni dei social network o nella comoda “tascabilità” delle applicazioni per smartphone o per tablet.
La questione merita tutta l’attenzione e dovrebbe spingere il cittadino a capire e ad acquisire consapevolezza sul problema.
Ho provato a riflettere su come le persone si confrontano con le problematiche di sicurezza e privacy, notando alcuni aspetti e giungendo alle mie personalissime deduzioni:
  1. Il cittadino viene bombardato dai media sulle violazioni di questo o quel produttore tecnologico. Ma qual è il rischio che questo bombardamento mediatico risenta dell’influenza dei produttori stessi verso una qualche forma di marketing denigratorio?
  2. In rete si diffondono quotidianamente allarmi, voci e notizie riguardanti presunte violazioni ai danni della sicurezza e della privacy, operate magari da un social network o da ipotetiche organizzazioni o sistemi dedicati a questo scopo. Si tratta in una grande maggioranza di casi di voci che risentono dell’effetto “telefono senza fili” e che partendo magari da una base vera o perlomeno verisimile, ne escono modificate, amplificate, distorte.
  3. Le informative sulla privacy presenti in siti e portali web, o allo stesso modo in formato cartaceo quando si concedono i propri dati a terzi, vengono spesso firmate o accettate con una scarsa o pressoché nulla consapevolezza reale del contenuto.
  4. La maggior parte delle persone ignora quasi completamente il concetto di reputazione on-line.
  5. E soprattutto, nella comune interpretazione sull’argomento, i termini chiave Privacy e Sicurezza vengono spesso uniti per semplificazione in un’unica soluzione, quando invece dovrebbero camminare su binari diversi.
Faccio un passo indietro (stavolta non scendendo fino ai tempi dei Padri Fondatori) tornando alle dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti George W. Bush in seguito agli attacchi dell’11 settembre 2001, ed alle successive azioni legislative che portarono alla nascita del celeberrimo Patriot Act.
Potremmo affermare che il Patriot Act è stato l’episodio che ha portato il web a perdere la sua “innocenza” originaria. Attraverso il noto provvedimento federale (celebrato in modo ironico ma molto incisivo anche in una puntata dei Simpson) forse per la prima volta i termini Privacy e Sicurezza vennero distinti, quasi che l’uno fosse opposto all’altro. In poche parole: “Ti togliamo un po’ di privacy in cambio di più sicurezza”.
Il concetto è passato e si è solidificato negli anni cibandosi delle paure del nuovo millennio, producendo persino delle interessanti variazioni sul tema quali “ti togliamo un po’ di privacy per soddisfare al meglio i tuoi gusti personali” o la nuova made in Italy “ti togliamo un po’ di privacy purché le tasse le paghino tutti”.
Così, un concetto come la Sicurezza è diventato il fine da raggiungere attraverso il mezzo della privacy, in una logica deduttiva che però ha portato stranamente a controversi risultati.

Sono all’ordine del giorno, ed in questo caso la notizia e reale e documentata, intrusioni, violazioni ed attacchi a banche dati, siti e portali web.
Di queste intrusioni, una buona parte viene rilevata in ritardo o peggio non viene rilevata affatto.
Un grande numero di siti e portali non sono dotati di sistemi di monitoraggio o non dispongono di una manutenzione continua.
Con la violazione di una banca dati, un’entità esterna sconosciuta si appropria letteralmente di tutti i dati in essa presenti (dati personali, dati sensibili, che l’utente ha fornito e che in qualche modo lo connotano a livello religioso o sul proprio orientamento politico e sessuale), con finalità ed utilizzi potenzialmente infiniti e per buona parte fraudolenti. In sintesi: la riservatezza dei propri dati viene pesantemente compromessa, a totale discapito anche della sicurezza della persona. Una conclusione che contraddice l’ottimistica visione precedentemente descritta.
Fin qui si resta nell’ambito della pura riflessione. Non siamo qui – noi tecnici a volte un po’ paranoici - ad addossare responsabilità a stati, organizzazioni, aziende, e così via. Sono proprio le grandi organizzazioni le prime a rispettare policies di sicurezza stringenti ed efficaci. Il rischio, pur se presente, risulta legato ad eventi e situazioni eccezionali.

Sposterei invece l’attenzione su un discorso differente, ovvero sulla necessità assoluta che nel prossimo futuro si metta finalmente e definitivamente il cittadino della rete – più comunemente chiamato utente – nelle condizioni di essere consapevole dei REALI rischi legati alla sua attività su web e derivati, attraverso un’azione coordinata e definitiva, a livello formativo ed informativo, che coinvolga media tradizionali, new media ed operatori del settore nel diffondere una nuova visione: 

Trasformare la tutela e la salvaguardia dei propri dati in un Valore.

La situazione
L'allarme di Microsoft per l'Italia 
Compromised Websites - An Owner’s Perspective
Una fonte un po’ datata ma comunque utile per capire il Patriot Act ed affini europei

Ma, fortunatamente, forse qualcosa si sta già muovendo:
http://www.sicurinelweb.it/progetto.php
http://www.saferinternet.org






lunedì 30 gennaio 2012

E il giorno in cui quelle idiozie non si faranno più...

Una citazione di Dino Buzzati, "cronista" come egli amava definirsi, uomo di lettere, di cultura e di montagna, enorme rappresentante spesso sottovalutato della cultura italiana del XX secolo. A distanza di 40 anni dalla scomparsa, avvenuta il 28 gennaio 1972, meriterebbe molto più che queste poche righe; meriterebbe molto più rispetto al poco contenuto comparso nei giornali in questi giorni. Ma la "stampa importante" - caro Dino, molte cose sono cambiate dai tempi in cui fosti amabile cronista del Corriere - ha altro di cui occuparsi. Per non parlare della tv...

«Le storie che si scriveranno, i quadri che si dipingeranno, le musiche che si comporranno, le stolte pazze e incomprensibili cose che tu dici, saranno pur sempre la punta massima dell'uomo, la sua autentica bandiera [...] quelle idiozie che tu dici saranno ancora la cosa che più ci distingue dalle bestie, non importa se supremamente inutili, forse anzi proprio per questo. Più ancora dell'atomica, dello sputnik, dei razzi intersiderali. E il giorno in cui quelle idiozie non si faranno più, gli uomini saranno diventati dei nudi miserabili vermi come ai tempi delle caverne.» - Dino Buzzati, "Il Colombre e altri 50 racconti" - Il Mago
C'è dell'Umanismo sano e positivo dietro la poetica semplice ed immediata del mite autore di "Il deserto dei Tartari". Assolutamente controcorrente per i tempi che corrono, mi chiedo cosa possa pensare un figlio dei nostri tempi davanti ad un'ode così sincera verso "le stolte pazze e incomprensibili cose".


Una rassegna degli articoli più interessanti usciti in questi giorni su Dino Buzzati:
  1. Corriere del veneto - 28 gennaio 2012 Dino Buzzati fu grande amante della montagna, ed in particolare delle Dolomiti. Per questo nel 2010 la Regione Veneto ha acconsentito alla dispersione delle sue ceneri proprio sulla Croda Da Lago.
  2. Avvenire 
  3. Articolo di Marcello Veneziani  su "Il Giornale" - 28 gennaio 2012
  4. "Le metamorfosi di Buzzati" - Europa - 28 gennaio 2012 - nell'articolo una stupenda illustrazione dello stesso Buzzati tratta dalla copertina della fiaba "La famosa invasione degli orsi in Sicilia"

mercoledì 18 gennaio 2012

“1Q84” di Murakami Aruki

Capita a volte che un momento, un'immagine, una descrizione nel romanzo che stai leggendo evochino in te suggestioni, emozioni e sentimenti celati nelle più profonde segrete della coscienza. Capita poi che tu riesca a dare nuova vita a quelle suggestioni e a ricostruirne l'origine.
"Galaxy Express 999" era uno dei miei cartoni animati preferiti. Riusciva ad incollarmi davanti alla TV, catturato dai personaggi, dalle immagini, dai suoni e dalle vicende raccontate, così magiche e così strane che spesso io bambino non capivo a fondo, ma riuscivo a percepire anche senza l'adulto raziocinio.
Quei mondi lontani visitati da un treno a vapore volante (i "bambini meccanici" di oggi direbbero che un treno a vapore che vaga nello spazio è una cazzata senza senso), rimasti in me nascosti per anni ed anni, sono riaffiorati sulla traballante superficie del mio intelletto proprio grazie alla lettura del romanzo 1Q84 di Murakami Haruki.
Ora, giunto al termine di 1Q84 - o almeno della sua prima parte, in attesa della seconda - cerco di fare ordine nella mia mente dopo un'esperienza di lettura unica, affascinante, e che mi ha donato emozioni (e paure) "vere".
La sua capacità narrativa farà probabilmente di Murakami il prossimo Nobel per la letteratura.
In una recente intervista egli afferma: "La leggera alterazione di certi dettagli, senza dare nell'occhio, prepara mentalmente il lettore all'arrivo di un “grande mutamento”". E' la chiave del suo stile: il dettaglio e la rappresentazione realistica (anche iper-realistica) del reale come dell'irreale, caratterizzano gli episodi ed i personaggi dei suoi romanzi, e sono proprio quei dettagli ad aprire nel lettore quelle porte creando una sorta di vibrazione in qualche modo "ultrasensoriale", un piccolo shock che rende unica ed irripetibile l'esperienza di lettura.
Mi torna in mente l'effetto provocato nella visione di "L'impero delle luci" di Magritte: un paesaggio in notturna sotto un cielo che ricorda chiaramente il giorno. "Trovo che questa contemporaneità di giorno e notte abbia la forza di sorprendere e di incantare. Chiamo questa forza poesia." Parole dello stesso Magritte. Ed è la stessa forza che troviamo nella letteratura di Murakami.
In "1Q84" Murakami Aruki fa un balzo avanti, la sua missione si sposta direttamente sul piano antropologico. La cultura del Sol Levante (sì, la stessa di Kurosawa, Ozu, Matsumoto), le reminescenze animistiche, le ritualità scintoiste, si amalgamano con la cultura occidentale. Non è un caso se lo stesso "Leader della setta Sakigake" citi direttamente uno dei capisaldi dell'antropologia culturale di matrice europea: "Il ramo d'oro" di James Frazer; e non sono poi così celate le affinità tra il rito legato al culto di Diana a Nemi su cui si basa "Il ramo d'oro" e la fine del leader del Sakigake. Obiettivo: l'integrità di una comunità. Così, la setta diventa il centro del romanzo, e la "culla" della stessa società, il rito ne diventa la celebrazione per salvaguardarne l’integrità e la continuità, la magia il mezzo (il Leader usa la pratica magica sollevando oggetti per rendersi credibile agli occhi di Aomame). Ma il culto si rompe, e la realtà esplode in un'infinità di microcosmi indeterminabili, appena riconoscibili da (per l’appunto) dettagli.
Per chi si chiede quanto del "1984" di Orwell ci sia in "1Q84", troverà la risposta semplicemente affiancando le parole "BIG BROTHER" e "LITTLE PEOPLE", da una parte un "grande" "fratello", dall'altra tanti "piccoli" "uomini". Profetizzazione o interpretazione della nuova società, Murakami in "1Q84", come fu nelle opere di Dostoevskij, raggiunge la vetta del messaggio universale.

Book Trailer 



Riferimenti
Inervista a Murakami Aruki a proposito della pubblicazione di "1Q84"
Pagina dedicata all'autore sul sito Einaudi
Murakami su Wikipedia