lunedì 17 giugno 2013

Il mio nome è Rosso

"Istanbul" mi ha dato la chiave di lettura di tutte le opere dell'autore turco Premio Nobel 2006 Orhan Pamuk: sia esso ambientato nella Istanbul del '500, o nel '900 di Ataturk, il romanzo di Pamuk rappresenta in primis l'esperienza autobiografica dell'autore. In Pamuk la Storia diventa una rielaborazione continua del proprio vissuto. Da questo punto di vista egli è un assoluto innovatore della forma romanzo.
"Il mio nome è rosso" non è un'eccezione: fra intrighi, amori, gelosie e tradimenti, Pamuk elabora un potente e complesso affresco di un momento cruciale della storia, dove l'estetica figurativa islamica a confronto con quella europea costituisce il tema conduttore dell'intera vicenda narrata. La vicenda personale dell'autore è chiaramente visibile (logico, se si conosce la sua biografia) nella rappresentazione della figura materna, nei rapporti fra i due fratelli Orhan e Sekvet, nella passione per la pittura (protagonista assoluta del romanzo), nella stupenda visita alle stanze del tesoro del Sultano (la mania quasi proustiana della "collezione" di Pamuk che poi diventerà centrale nel "Museo dell'innocenza").
Pertanto, la vicenda personale dell'autore viene calata nella storia: la contrapposizione ideologica ed estetica fra l'Islam Ottomano e l'Europa (l'embrione dell'Europa liberale rappresentato perfettamente dalla Serenissima Repubblica di Venezia e dalle sue ambitissime monete d'oro) è anche espressione del conflitto personale dell'autore, figlio della cultura europea ma nello stesso tempo così visceralmente attaccato alla sua nazione ed alle sue tradizioni. E' il dilemma della cultura turca, ed il grande desiderio di sintesi, oggi perfettamente attualizzato nelle proteste in Piazza Taksim e nel sogno di Pamuk e di tanti altri (me compreso) per un ingresso della Turchia nella Comunità Europea.