lunedì 4 novembre 2013

"Luce d'agosto" di William Faulkner

Afferma William Faulkner a proposito del suo romanzo "Luce d'agosto": «Nella mia terra la luce ha una sua qualità particolarissima; fulgida, nitida, come se venisse non dall'oggi ma dall'età classica». In "Luce d'agosto" l'autore prende le vicende di un'umanità apparentemente ordinaria, meschina, miserevole, e le sposta con intuizioni ed invenzioni letterarie - quelle invenzioni che ti fanno dividere la letteratura contemporanea tra un prima e un dopo Faulkner - sul piano del mito, dove le storie dei singoli si intrecciano e si rincorrono, in una costruzione della storia che si compie di pagina in pagina, di paragrafo in paragrafo, rivelata non da un autore che si pone al di sopra della storia, ma dal vocìo, dal racconto, dalle confessioni dei singoli personaggi, che creano a loro volta miriadi di meta-storie. Forze meta-narrative che vanno a tracciare i destini contrapposti di Joe Christmas, supremo anti-eroe che discende nell'Ade, e di Lena Grove, simbolo di rinascita nel perpetuo ripetersi della creazione.

Ancora una volta, leggo Faulkner ed ho l'impressione di trovarmi di fronte ad un'opera diversa, totale, universale.

Ancora una volta, le mie letture acquisiscono una consequenzialità che odora un po' di mistero. Acquistato in libreria quasi casualmente, ho letto "Luce d'agosto" subito dopo "Sorgo rosso" di Mo Yan, ed ho trovato tra i due autori una straordinaria continuità (Mo Yan ha messo Faulkner al primo posto fra gli scrittori che più hanno influenzato la sua opera).

Rispetto all'Adelphi in mio possesso, mi piacerebbe reperire "Luce d'agosto" nell'edizione Mondadori, quella con la prefazione di Fernanda Pivano e la traduzione di Elio Vittorini, anno 1972.